Le critiche in Italia e all'estero che parlano di Roberto Hazon sono innumerevoli. Viene riportato qui soltanto qualche giudizio di alcuni noti critici italiani sul linguaggio e sulla personalità di questo compositore. Roberto Hazon occupa una posizione singolarmente isolata nel panorama della musica attuale e le parole che Giulio Confalonieri scrisse riguardo ad una delle prime composizioni di Roberto Hazon ancora oggi possono servire di presentazione alla sua opera musicale. Roberto Hazon ha ancora fiducia nella scala d'ottava e davanti ad un accordo perfetto non sente il complesso d'inferiorità. Nel suo passatismo abbiamo avvertito la presenza di molto nuovo; nel suo conformismo abbiamo visto delinearsi i segni di una personalità, di un carattere umano. L'eterna vicenda, in poche parole, per cui si trapassa dall'essere ordinario all'essere artistico. Roberto Hazon inventa la musica su quel piano ove la musica soltanto è inventabile; non su un piano generico che ammette l'invenzione, confusa e quidi inutile, di molte altre cose. A parte il suo modo di trattare l'orchestra e di conferire alla voce una plasticità niente affatto comune, il compositore riesce a trovare sempre un punto di attacco fra il proprio mondo individuale ed il mondo universale cui tutti apparteniamo. Nella musica di Hazon abbiamo incontrato uno spirito libero da preconcetti di tendenza, un alto senso poetico, uno slancio inventivo e una capacità di disegno veramente singolari. Questa musica è nel linguaggio tonale, ma così farcito di segni che lo vanificano (armonie vaganti, indugi in zone modali, ambivalenze fra maggiore e minore), da farci sentire insieme all'autore pieni di memorie e di parole che non c'entrano col futuro, forse nemmeno col presente, ma che sono pur nostre e c'entrano con noi. E' un mondo sonoro al limitare del passato e sulla soglia di qualcosa di non saputo ancora e ha una tensione verso qualcosa di diverso, di non ancora inventato, in uno degli infiniti spazi che la musica può percorrere… (Lorenzo Arruga). A proposito dell'opera Una donna uccisa con dolcezza (1967), Harry Beard sul Times di Londra scrisse: Nei giorni in cui è di moda il culto di un teatro di crudeltà, Hazon sostiene la crociata del teatro buono. Luigi Rossi su La Notte titola: L'opera 'Una donna uccisa con dolcezza', una Traviata elisabettiana.
Musica inconfondibile quella di Hazon, compositore milanese che ha raccolto grandi successi soprattutto all'estero (anche se l'opera più importante - il balletto in tre atti I Promessi Sposi - ha avuto l'onore del cartellone scaligero): Musica raffinata, in apparenza facile, per il gran pregio di essere facilmente capita. Grande maestro della manipolazione della voce […]. (Alfredo Mandelli). Per quanto riguarda il significato espressivo e la capacità di comunicare di questa musica, non rimane che invitare ad ascoltarla, certo che è dato con essa di vivere un'esperienza musicale fatta di autenticità e poesia. Il critico Franco Abbiati così si esprime: Fin dal suo esordio con l'opera comica L'amante cubista (1953), scritta quasi per gioco a 23 anni, e diventata titolo di successo da Milano a Berlino a Montreal, negli Stati Uniti e in Cecoslovacchia (dove viene tradotta in cecoslovacco), Hazon ha sempre sentito ben vivo il linguaggio della musica cosiddetta tradizionale, quello basato sulla tonalità e sulla sensibilità musicale conseguente, che ormai è diventato una seconda natura e un riferimento all'orecchio e all'emozione. La musica derivata dalla scuola viennese atonale e dodecafonica non era l'unica moderna e attuale. Hazon sembra aver aumentato il carico di fiducia negli elementi più immediati della tonalità (Alfredo Mandelli). Roberto Hazon in un'intervista rilasciata a Sipario, ha spiegato quali intendimenti abbia seguito nel comporre le sue opere liriche: Io credo nella possibilità del teatro dell'opera, perché credo nel tratro in musica e nella forza insostituibile della parola cantata. E cerco di esprimere con quest'arte la mia visione del mondo. Altri compositori amano rappresentare il disfacimento del nostro tempo, la dissociazione della società nelle amime e nelle strutture. Io preferisco, invece, ascoltare le voci del nostro tempo e guardare oltre l'aspetto delle cose, cogliere quella nostalgia di bontà, di verità, di bellezza che più o meno si sente in tutti. E offrire un 'teatro utile', un 'teatro buono', un 'teatro morale' dove la gente del nostro tempo possa riconoscersi, non rispecchiarsi esteriormente o deprimersi. Magari per sorridere, meglio se per meditare. Credo nella melodia, con la sua immediata ed incisiva forza ed efficacia. A questo proposito quanto disse Darius Milhaud: La casa più difficile in musica è scrivere una melodia. Chiunque può raggiungere una tecnica brillante. L'elemento vitale è la melodia, quella facile a ricordarsi, che possa anche essere canticchiata, fischiettata per le strade…. Ho cominciato a tredici anni con un abbozzo di Orfeo dalla favola del Poliziano, e da allora ho raccontato storie di persone, di bambini come 'La Teresina', alcuni brani di musica della quale ho scritto a quattro anni (testimoniabile) i 'Tranches de vie' di una coppia elisabettiana, come in 'Una donna uccisa con dolcezza'; ho sfiorato il cabaret con un piccolo giallo umoristico 'Madame Landrù' ; ho provato a cantare l'amore romantico, anche se sotto l'ironia del teatro comico e assurdo come 'L'amante cubista', o nella tenera presa in giro dei media pubblicitari ridotti a piccolo equivoco in 'Agenzia matrimoniale'. Franco Cella: In ogni sua scelta c'è un' invenzione teatrale, che detta l'invenzione musicale. Ed ai meccanismi della tradizione operistica, posseduti e usati come una langue, può balzare la forma nuova. L'ultima sua opera, Eureka Stockade, in lingua inglese, festeggiata dal successo è un caso interessante. Si intrecciano esperienze antiche e la realtà della comunicazione d'oggi.
In Hazon c'è una specie di normalità d'umanesimo recuperato, la superiorità dell'autore sui procedimenti melodrammatici, epici o avventurosi di cui si serve la sua musica. E' la sua cifra di compositore del nostro tempo, e, chissà, rischia di farne, uno dei rinnovatori di quel teatro italiano anni Cinquanta, fiducioso in coerenze e positività, che un critico autorevole come Giovanni Roboni auspica come nuovo punto di partenza di ordine e positività. In ogni caso lui è così: la sua musica non è un gesto teorico, è il suo modo di vivere e pensare. Cosa che ha fatto, per esempio, per sfruttare l'ondata di questa sua opera epica a tutto tondo (Eureka Stockade, 1988). Ho scritto ventidue piccoli pezzi per pianoforte per ragazzi principianti. Li ho scritti, credo, perché mi si voglia bene, perché io ho voluto molto bene agli autori delle mie prime cose al pianoforte. Per essere rappresentato alla Scala il balletto I Promessi Sposi fu commissionato da Gianandrea Gavazzeni, allora Direttore Artistico del Teatro, perché pensava che la musica di Hazon fosse la musica del domani in quanto melodica, ma molto moderna specialmente nella raffinatissima e sapiente orchestrazione. Infatti è anche molto apprezzata dai giovani.